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Teologia del gioco: il mio nuovo libro!

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Perché il fenomeno ludico può essere un vero e proprio “trattato” di teologia? Cosa ha a che fare il gioco con la teologia? Apparentemente sembra esserci una distanza, se non addirittura, date certe idee, un abisso tra gioco e teologia. In realtà indagando il ludus nei suoi diversi aspetti si può agevolmente dimostrare il guadagno per la teologia dell’assunzione della “categoria” del gioco, dopo aver chiarito in cosa consista il fenomeno umano. Inoltre mettendoci sulle spalle di giganti in teologia, come Jürgen Moltmann, Hugo Rahner, Klaus Hemmerle, con loro e mai contro di loro, si può proseguire il discorso teologico. In effetti è possibile sondare l’ambito biblico, recuperare alcuni frammenti di teologia ludica sparsi in due mila anni di pensiero e, infine, mettere in luce quei motivi di estetica ludica che possono essere a fondamento di una strutturata e argomentata proposta teologica. Così facendo viene fuori un’opera dal forte carattere interdisciplinare che dà dignità ad un fen

Per una teologia del gioco

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La ricerca prende le mosse, dal punto di vista metodologico, dall’idea elaborata da P aul Ricoeur a riguardo di un pensiero a partire dai simboli, e tenta di applicare questo metodo al tema del gioco per farne una “categoria” utilizzabile in ambito teologico. Come è noto, il filosofo francese scandisce nel celebre saggio Ermeneutica dei simboli e riflessione filosofica , la sua idea, tracciando tre possibili tappe. La prima tappa è fenomenologica, cioè in questa prima fase si cerca di comprendere il simbolo attraverso il simbolo. La seconda tappa è ermeneutica, di interpretazione dei testi che contengono quel simbolo. L’ultima tappa è quella di un’elaborazione di un pensiero a partire dal simbolo. Nel primo capitolo si tent a di onorare la prima tappa delineata da Ricoeur e, quindi, verrà indagato il fenomeno ludico con l’intento di capire cosa esso sia, giovandosi dell’apporto di diverse discipline, e, successivamente, si procederà a mettere in luce la plurivalente simbolica

Il gioco in Platone (seconda parte).

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Non dovendo dimostrare il tratto ludico di ciascun dialogo  [1] – cosa che esula dal presente studio ‒   vogliamo ora soffermarci su un aspetto che abbiamo indagato e in Platone trova una sua prima sottolineatura teoretica. In diversi dialoghi, infatti, il filosofo ateniese afferma che «l’imitazione è un gioco»  [2] che richiede notevole abilità e, nondimeno, produce grande piacere  [3] . Ma qual è il valore dell’imitazione e, di conseguenza, del gioco nella filosofia platonica? Senza dover passare in rassegna tutte le ricorrenze del lemma imitazione nei testi platonici e stando anche al contesto nel quale si colloca l’identificazione sopracitata tra mimesis e paidia , occorre subito affermare che Platone condanna un certo tipo di imitazione/gioco, quella fatta nell’ignoranza che, di conseguenza, è solo parvenza di imitazione  [4] . Il filosofo ateniese, quindi, condanna senza appello quell’imitazione/gioco che è priva di scienza. C’è vera, autentica imitazione solo quando si dà la

Il gioco in Platone (prima parte)

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Uno dei primi filosofi che ci ha lasciato preziosi frammenti sul gioco è Platone . Egli, nel Fedro , attraverso la figura di Socrate qualifica la sua opera come gioco. Come è noto, questo dialogo è stato redatto nell’ultimo periodo della vita di Platone e, comunque, è posteriore alla Repubblica ; per questo può essere visto come un bilancio della sua opera. Se forse il giudizio che vede nel Fedro uno dei dialoghi più significativi di tutta l’opera platonica  [1] può sembrare iperbolico, certamente qui ci troviamo di fronte ad un dialogo in cui Platone mette a tema il gioco. Interessante, sotto questo profilo, è l’inizio dell’opera. Siamo in campagna, lungo le rive del fiume Illisso. Lo stesso Fedro, il protagonista del dialogo, nota la singolarità di trovare Socrate, che non usciva mai dalla città, fuori dalle mura  [2] . In questo luogo, stando a quanto si trova nelle Leggi , si gioca  [3] . Significativamente, proprio qui, secondo un mito di cui Platone ci dà notizia all’inizio del

Il gioco in Platone (terza parte).

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Il gioco in Platone assume se non una vera e propria sfumatura teologica, quantomeno un’aura sacrale. Infatti in un passo della sua opera possiamo leggere: «ATENIESE – Io dico che noi dobbiamo occuparci di ciò che ha valore e tralasciare il resto; la divinità è per natura degna di interesse, che sia anche fonte di beatitudine, ma l’uomo, lo abbiamo detto prima non è che un giocattolo uscito dalle mani degli dei e ciò che di lui vale di più è proprio questo, in realtà. E in modo a ciò conseguente ogni uomo e ogni donna devono vivere anche la loro vita, cioè giocando i giochi migliori»  [1] . E poco dopo lo Stagirita aggiunge: «E quale sarà il retto modo di vivere? Sarà quello di fare il proprio gioco, sacrificando, cantando e danzando, per vedere se con ciò si riesca a rendere propizi gli dei e a tenere lontano i nemici, sconfiggendoli in guerra»  [2] . Questi passi, non correttamente intesi, possono essere assunti come punto di partenza per una visione nichilistica, come in epo

Il gioco in Gadamer.

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Di straordinario interesse sono le pagine che un grande ludi magister in epoca contemporanea, Hans Gadamer , dedica al tema del gioco.  Egli, considerato, seppur con qualche perplessità da alcuni interpreti  [1] , tra i più platonici del XX secolo  [2] , dedica una parte della sua celebre opera Verità e metodo al fenomeno ludico ,  vedendo in esso la possibilità di mostrare l’ontologia dell’opera d’arte. Il gioco è assunto dal filosofo come filo conduttore della esplicazione ontologica. Questo modo di indagare il fenomeno ludico potrebbe sembrare inopportuno, eppure, come vedremo, permette di comprendere il gioco sotto una luce nuova rispetto a quanto ha fatto la filosofia contemporanea.  Dopo aver criticato chi sostiene la non serietà del gioco  [3] , Gadamer dichiara che «il gioco raggiunge il proprio scopo solo se il giocatore si immerge totalmente in esso. Non il rimando esteriore del gioco alla serietà, ma solo la serietà del giocare fa sì che il gioco sia interamente gioco. Ch