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Visualizzazione dei post con l'etichetta Riflessioni biblico-liturgiche.

I personaggi del racconto della Passione (4). Il potere di fronte a Gesù.

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  L’ultimo personaggio che vogliamo prendere in considerazione del racconto della Passione è il potere, nella figura dei capi religiosi e nella figura di Ponzio Pilato. Benché diverso, il potere religioso e quello politico, qui sono accumunati da un obiettivo: far fuori Gesù. Certo Pilato si lava le mani, ma di fatto non fa altro che assecondare il Sinedrio che, per invidia – come dice il testo evangelico – gli consegna il Maestro. Entrambi si dimostrano ottusi, chiusi, ostinati. Una sentenza su di Gesù è stata emessa – deve morire – e va eseguita, il prima possibile peraltro perché si avvicina la Parasceve. Quella di Gesù è una condanna sommaria come tante nella storia. Il Nazareno non ha avuto un equo processo: lo hanno accusato, nessuno lo ha difeso, è morto. La verità giudiziaria non è stata prodotta perché in realtà tutto era stato stabilito. L’unica fatica è stata quella di reperire testimonianze contro Gesù, peraltro discordanti. Nel suo caso davvero “the show must go on”. D’alt

I personaggi del racconto della Passione (3). Gli apostoli.

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  Un altro personaggio al centro dei testi evangelici della Passione è il gruppo degli apostoli. La morte di Gesù costituisce per questo gruppo uno spartiacque. Infatti prima sono in dodici, dopo saranno in undici. Inoltre per loro è il momento decisivo per capire la persona di Gesù, il loro Maestro che hanno seguito, lasciando le loro case in Galilea e la loro professione, insomma lasciando un posto certo, sicuro. Gli apostoli, certo, agiscono come un gruppo, ma anche come singoli: tra di essi spiccano Giuda Iscariota e Pietro, entrambi traditori, benché per differenti motivi. Quando Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme è facile immaginare il loro entusiasmo, la loro gioia, la loro felicità: si sentono gasati perché quel Nazareno, che hanno seguito, è osannato e loro sono i più stretti collaboratori. È ipotizzabile che in quel momento abbiano pensato: “Finalmente ora andremo al potere”. Già si vedevano con un incarico importante. Ma Gesù li stupisce, li sbalordisce: a cena, nell’ulti

I personaggi del racconto della Passione (2). Le donne.

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  Un altro personaggio che è presente nel racconto della Passione di Gesù è costituito dal gruppo delle donne, tra le quali spiccano Maria, la madre di Gesù stesso, e Maria di Magdala. Queste donne – lo sappiamo dai Vangeli – hanno accompagnato Gesù nel suo itinerario verso Gerusalemme, lo hanno assistito e lo hanno servito, dimostrando una straordinaria cura nei suoi confronti. Questo gruppo, sempre presente seppur nell’ombra, a differenza di tutti gli altri personaggi della Passione, rimane coeso, certo scioccato dagli eventi che portano alla morte il Nazareno, ma non per questo si tira indietro. Sotto alla croce, a vedere Gesù spogliato, deriso, sanguinante e inchiodato sulla croce, ci sono loro: queste donne non lo abbandonano. Inoltre una volta morto, depongono Gesù nella tomba di Giuseppe di Arimatea. Mentre gli apostoli impauriti, spaventati, rimango chiusi, non vogliono avere contatti con l’esterno, e il mattino della Risurrezione, all’alba vanno al sepolcro per completare i r

I personaggi del racconto della Passione (1). La folla.

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  Come dovrebbe essere noto, la storia della redazione dei Vangeli ci ha fatto comprendere, ormai da diversi decenni, come il racconto della Passione di Gesù sia stato scritto per primo e il resto è una sorta di più o meno lunga introduzione, a seconda del Vangelo che possiamo prendere come riferimento. Tuttavia nel racconto della Passione compiano alcuni personaggi, singoli o gruppi, che di fronte a Gesù hanno un atteggiamento che fa riflettere, che dice qualcosa anche oggi. Uno di questi personaggi è per esempio la folla. I Vangeli ci dicono che la folla ha accompagnato Gesù nel suo itinerario e dalla folla, indistinta, anonima, amorfa, sono emerse figure di rara bellezza: l’emorroissa. La folla tenta, dopo l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, di fare re Gesù. Si può dire che essa agisce nel Vangelo come un unico personaggio. Ecco essa accompagna Gesù anche negli ultimi giorni della sua vita. Dapprima all’arrivo a Gerusalemme osanna il Nazareno, venerandolo come Mes

Natale: il mistero della forza nella debolezza.

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  Se c’è, forse, un aspetto del Natale, che più di ogni altro scandalizza, mette dubbi, insinua perplessità, da quando è avvenuto la prima volta ad oggi, è questo: Dio si è fatto carne. Detto in altri termini Egli si è manifestato a noi attraverso la fragilità di un corpo umano, la miseria di una vita umana, la piccolezza di una storia. Dopo duemila anni questo risulta essere qualcosa di inspiegabile. Perché per la nostra mentalità, se Dio si doveva manifestare, si doveva manifestare in modo da essere riconosciuto da tutti, in modo glorioso, maestoso. Eppure egli ha deciso di prendere forma nell’umile grembo di Maria e non di una straordinaria regina, ha deciso di prendere dimora nell’umile villaggio di Nazareth e non in un sontuoso palazzo della capitale dell’Impero, ha deciso di avere acconto a sé persone di basso rango e non di alto lignaggio. Dio ha agito così per mostrarci qualcosa che, da duemila anni a questa parte, facciamo fatica a comprendere: c’è una forza nella debolezza ch

Il mistero dell'Ascensione.

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« Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose ( Ef 4,10)». La festa dell’Ascensione è davvero particolare. In fondo, se ci pensiamo bene, celebriamo una scomparsa. Il Risorto, così ci dice l’opera lucana (Vangelo e Atti), dopo essere apparso agli apostoli, per un tempo di quaranta giorni, termina la sua presenza in mezzo agli uomini ascendendo. Egli, dunque, ritorna al Padre. Ma questo ritorno è gravido di conseguenze perché Gesù porta con sé quell’umanità che aveva assunto incarnandosi. Il Risorto scompare ma non è una scomparsa qualunque perché intacca profondamente l’essere di Dio. L’umano e tutto ciò che esso implica, sia nella forma dello splendore sia nella forma della fragilità più estrema, è accolto in Dio e da allora e per sempre è in Dio. In altri termini si potrebbe dire che Dio sente, respira, vive, palpita come un uomo e, per questo, è una scomparsa che esalta la nostra umanità, rendendola degna di Dio a

La domenica di Lazzaro.

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«Gesù, allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò […]. Gesù scoppiò in pianto» (Gv 11, 33. 35). Nella quinta domenica della Quaresima il rito ambrosiano ci pone di fronte ad una delle più belle pagine della Scrittura. Lazzaro, l’amico di Gesù, è morto. Egli, dunque, decide di andare con gli apostoli a Betania, di andare lì dove poco prima dei Giudei avevano tentato di ucciderlo. La scena, pertanto, è questa: c’è un morto e c’è aria di morte. Gesù va e compie quello che per Giovanni è l’ultimo segno, il più grande: ridona la vita a Lazzaro. Nel mezzo c’è Gesù che si commuove, si turba e piange. Sono verbi che apparentemente non vogliono dire nulla: come non commuoversi, come non turbarsi, come non piangere di fronte alla scomparsa del proprio amico? Eppure hanno un significato perché il soggetto di questi verbi è Gesù, Dio fatto carne. Qui c’è una rivoluzione teologica: il nostro Dio

La domenica del cieco.

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«Da che mondo è mondo, non si è mai sentito che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla» (Gv 9, 32-33). Con questa affermazione il cieco nato, guarito da Gesù, – la Quarta domenica di Quaresima in rito ambrosiano si può ascoltare lo stupendo di capitolo di Giovanni 9 – confessa la sua fede. A ben vedere è lui il vero illuminato, non i giudei che di fronte allo straordinario gesto del Nazzareno di ridare la vista si chiudono e anzi molestano il povero che ha riavuto la vista. Chi è il vero cieco? L’uomo che è così fin dalla nascita o i giudei che non sanno vedere la bellezza di quanto è accaduto? In fondo questo testo sta a dirci che la fede è una questione di sguardo. Se i nostri occhi sanno talmente abituati a vedere il male, come potranno cogliere la bellezza del bene, soprattutto quando questo si presenta nella forma più semplice possibile? I giudei rimangono fermi nella loro posizione: per loro Gesù non è il Mes

La domenica di Abramo.

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«Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto […]. Allora raccolsero delle pietre contro di lui; ma Gesù si nascose e usci dal tempio» ( Gv 8, 31. 59). Il Vangelo della terza domenica, che in rito ambrosiano è legata alla figura di Abramo, si apre in un certo modo e si conclude in modo totalmente contrario. All’inizio ci sono dei Giudei che credono in Gesù, questi, alla fine, saranno che raccoglieranno delle pietre per scagliarle contro Gesù. Tra l’inizio e la fine un dialogo in cui Gesù cerca di far capire ai quei Giudei che tra lui e il Padre c’è un legame particolare, legame che è più importante di quello con Abramo, il patriarca della fede. Questa dialogo ha un unico obiettivo: conoscere la verità che rende liberi. Qual è questa verità? È il Figlio, è Gesù stesso che libera dai legami etnici – ecco perché Abramo non è più importante, passa in secondo piano – e ti inserisce in una comunità in cui conta la relazione che si instaura con il Padre grazie al Figlio. L’unica a

La domenica della samaritana.

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Nel rito ambrosiano, per tradizione, la seconda domenica è la domenica della samaritana e il brano biblico di riferimento, pertanto, è il bel capitolo di Giovanni 4. In questo testo si narra della vicenda di una samaritana che viene condotta da Gesù a riconoscere in lui il Messia atteso. Nel dialogo tra la donna e Gesù c’è un particolare che può sfuggire. Infatti emerge chiaramente che, pur avendo avuto cinque mariti, nessuno ha avuto in moglie veramente questa samaritana «Le dice Gesù: “Hai detto bene: ‘Io non ho marito’. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”» ( Gv 4, 17). Questa donna – non si capisce bene perché: il testo non permette di fare facili ipotesi! – vive un problema, un dramma: nessuno l’ha amata mai veramente. Lei non si sente sposa di nessuno, neppur del marito che pur ha in questo momento; vive una drammatica situazione d’amore. Ella è ancora in ricerca del vero amore, di quell’amore capace di riempirgli la vita, di renderla felice

La Quaresima e le tentazioni

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«Subito dopo lo Spirito Santo lo sospinse nel deserto e lì vi rimase per quaranta giorni» (Mc 1,12) Il periodo liturgico della Quaresima, ogni anno, inizia con la pagina del Vangelo in cui si narra delle tentazioni di Gesù. Tuttavia, se siamo onesti, possiamo notare una cosa sorprendente: non è Gesù che liberamente si sottopone a questa prova, ma è lo Spirito che, come dice il testo lo sospinge o meglio lo costringe, stando al verbo greco usato nel testo originario, nel deserto. In altri termini è lo Spirito a muovere Gesù nel deserto per i “suoi” quaranta giorni. Gesù rispetto all’azione esercitata su di lui dallo Spirito è inerte, passivo; Egli si lascia guidare, si consegna all’Amore che unisce Figlio e Padre in un vincolo indissolubile. Perché? Egli si fa accompagnare in un luogo, il deserto, dove il popolo d’Israele, nei quaranta anni del suo interminabile pellegrinaggio, ha imparato, è diventato a poco a poco il popolo di Dio, il popolo che si fa condurre da Dio, fidandos

L'Immacolata Concezione: l'origine divina di Gesù

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Chi studia o ha studiato un po’ di teologia sa che la prima parte dei Vangeli ad essere stata scritta è quella in cui si narra la vicenda della Passione. Lì tocchiamo con mano come la fede degli apostoli è stata messa in crisi dallo stesso Gesù che liberamente ha accettato di morire in croce. È stata la risurrezione o meglio il manifestarsi del Risorto che ha dato loro la prova dell’origine divina di Gesù e, quindi, la sua “pretesa” di essere Figlio di Dio non è stata smentita. Il Nuovo Testamento ci attesta che è a partire da qui, da questa esperienza che gli apostoli hanno fatto, che i primi cristiani hanno riflettuto più profondamente sull’origine divina. Basta leggere con molta attenzione lo stupendo inno della lettera ai Filippesi (Fil 2), per rendersi conto che questa riflessione dalla manifestazione di Gesù come Risorto ha proseguito ed è arrivata a concepire la pre-esistenza in Dio ancora prima dell’origine del mondo. Ora se Gesù è il Figlio di Dio, lo è da sempre e lo ho d

Ognissanti: per una santità della porta accanto.

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La solennità di tutti i santi è un’occasione alquanto particolare per riflettere su quella che il Concilio Vaticano II ha definito come la vocazione di ogni battezzato. Ancor prima che un catecumeno possa consacrarsi (sacerdozio, vita consacrata, matrimonio) esiste una comune vocazione alla santità. Detto in altri termini tutti siamo chiamati a diventare santi. Attenzione: diventare, non essere! Perché santi lo siamo in forza del Battesimo che ci ha santificati, cioè ci ha messo nella condizione di persone salvate, persone redente. Sotto questo profilo sarebbe interessante rileggere le finali delle lettere di Paolo che saluta i santi che sono nella comunità alla quale scrivere. La santità è, pertanto, un processo da portare a maturazione: dall’essere al diventare, dove noi non siamo e non possiamo essere coloro che misurano la santità altrui. Anche perché questo processo può accadere in tempi, luoghi diversi, con persone differenti. Basta vedere la grande varietà di santi e sante

Il pianto di Gesù

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“Gesù scoppiò in pianto” (Gv 11,35) Questo versetto tratto dal Vangelo di Giovanni racchiude in sé una straordinaria ricchezza. Essa è il versetto più corto di tutta la Sacra Scrittura e lega il pianto a Gesù, al Figlio di Dio. Questo versetto è situato nell’episodio della morte e risurrezione di Lazzaro, grande amici di Gesù. Dio, facendosi carne, assume ogni aspetto della nostro umanità che comprende i più diversi toni emozionali e di fronte alla morte di un amico, di una persona cara e amata, come è naturale che sia, piange. E’ paradossale, fuori da ogni logica umana, ma Gesù, vero uomo e vero Dio, piange e, allo stesso tempo, piangendo ci insegna qualcosa di sublime sulla nostra umanità! Anche il pianto per un amico entra nel mondo di Dio, ne fa parte a tutti gli effetti e diventa qualcosa si sacro, di divino. Il pianto in Gesù, Verbo fatto carne, diventa un modo, uno strumento, un linguaggio che ogni uomo ha per esprimere qualcosa di Dio. D’altronde non può essere diversam

L'ombra di Pietro

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“… perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro” (Atti 5, 15) Queste parole che ci raccontano di Pietro, della sua figura nella primitiva comunità cristiana all’indomani della morte,  risurrezione e ascensione del Signore, ci dicono qualcosa anche sull’uomo, su ogni uomo. Sì perché se è vero, come possiamo leggere nei versetti precedenti, che Pietro è ricercato perché guarisce i malati, è altrettanto vero che l’uomo, ogni uomo è ombra;  un’ombra dalla quale, come Pietro, può uscire luce e vita. L’uomo è un’ombra luminosa, un’ombra che genera gioia, speranza, amore, in una parola felicità. Tanto è il bene che Pietro compie, ci dicono gli Atti, che coloro che stanno male desiderano essere coperti dalla sua ombra per essere guariti. Questa è l’opera di Dio: fare di noi, nonostante le nostre insufficienze, i nostri peccati, delle sue meraviglie, dei suoi capolavori. Le nostre tenebre in Dio possono diventare luce. Noi, grazie all’opera che D io fa c

Che cosa è la liturgia?

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Rispondere ad una domanda semplice – in questo caso: che cosa è la liturgia? – appare talvolta difficile e complesso. Tanto più se la risposta ha dato origine ad una serie di opere, tutte lodevoli, che però di fatto, volente o nolente, non ha offerto una soluzione soddisfacente al quesito. E allora? Allora la domanda si ri-propone di nuovo, con più forza: che cosa è la liturgia? A rispondere ci ha pensato questa volta Paolo Tomatis, sacerdote della diocesi di Torino e professore alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, con il volumetto Vita alla sorgente (Città Nuova, €18), centrando – così a noi pare – l’obiettivo. Sì, perché parlare, dire qualcosa sulla liturgia significa prima di tutto porsi nella liturgia, cioè farne esperienza. Per intenderci: è come se qualcuno parlasse dell’amore senza aver mai effettivamente, realmente, veramente amato. Le sue parole, pur ragionevoli, sarebbero palesemente vuote, prive di quell’esperienza necessaria a supportarle. Ecco perché,

Giuda Iscariota, l'apostolo traditore.

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Durante la Settimana Santa faremo memoria dell’evento della salvezza. Tuttavia, c’è un dettaglio che talvolta sfugge: tale evento si compie in virtù, attraverso un tradimento. Giuda, apostolo scelto dal Signore, i quattro vangeli sono concordi su questo, tradisce Gesù. Come mai? Perché? Difficile dare una risposta se stiamo ai testi. Non abbiamo neanche un minimo accenno, una piccola traccia che ci permette ci capire il motivo per cui Giuda abbia deciso di voltare le spalle al Maestro. Per questo il tradimento di Giuda rimane un mistero, qualcosa di incomprensibile. D’altronde ogni tradimento in qualsiasi ambito (amicizia, professione, famiglia/amore) è in-giustificabile, nel senso che la ragione fa fatica a comprenderlo.  Quello che sappiamo su Giuda è che lui era uno dei Dodici, quindi uno delle persone più vicine a Gesù. E inoltre egli tradisce con un gesto che esprime vicinanza, prossimità, intimità: un bacio. Ciò sta ad indicare quella paradossale sproporzionalità insita in q

Le ceneri: il suo significato simbolico.

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L’imposizione delle ceneri: un gesto che apre la Quaresima. Apparentemente un gesto che potrebbe dare adito a risonanze tristi, tanto più che una delle formule che accompagna la stessa imposizione recita così:  ‘Ricòrdati che sei polvere, e in polvere tornerai’. Segno, dunque, di quella fragilità, di quella debolezza che è connaturata all’uomo. Eppure le ceneri, proprio perché hanno questo significato, nascondono anche un altro inconsueto e bello. La Sacra Scrittura ci dice che tra l’ ‘adam’ (uomo) e l’ ‘adamà’ (terra) c’è una parentela, c’è un legame. Certo entrambi sono destinati alla morte.  La terra finirà, così come l’uomo muore. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. La terra, il cosmo intero, ci dice San Paolo in un passo noto di una sua lettera, attende, gemendo e soffrendo, il giorno in cui sarà rinnovata. Potremmo dire che sotto la cenere c’è la brace che è costituita da un forte e intenso desiderio, sepolto nel cuore dell’uomo e nel mistero del cosmo: il desideri

Il Triduo pasquale: mysterium salutis.

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Si avvicinano i giorni del Triduo Pasquale, centro di tutto l’anno liturgico, e quello che colpisce è costituito dall’abbondanza della Parola di Dio. A ben vedere, infatti, sono questi i giorni in cui la parte predominante della liturgia è occupata dalla Sacra Scrittura. Perfino la stessa Veglia pasquale, “madre di tutte le veglie”, con le sue sette letture proclama un primato che è incontrovertibile: per fare memoria di un evento, dell’evento della nostra salvezza, non si può fare a meno della Parola. È come se la Chiesa affermasse la sua “incapacità” di gesti all’altezza dell’evento di cui fa memoria e, per questo, si pone in ascolto. A ben vedere la Settimana Santa inizia (la “Passio” proclamata nella Domenica delle Palme) e termina (la “Passio” proclamata il Venerdì Santo) con la Parola e la Veglia pasquale non fa altro che raccontare quella storia della salvezza che ha raggiunto il suo apice nella morte e risurrezione di Gesù. Questa “povertà” è davvero sorprendente e permette

Pentecoste: lo Spirito in festa!

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« Quando verrà lo Spirito, egli darà testimonianza di me e anche voi date testimonianza » ( Gv 15,26-27). Nel nostro cammino lungo tutto il tempo liturgico, a ben vedere, vi è un unico attore, che non cambia mai, benché i tempi (Quaresima, Avvento, Pasqua) cambino. È sempre lo Spirito Santo a lavorare, a operare in noi. Se qualcosa muta, questo è, per così dire, “il fine” per cui lo Spirito ci muove, ci indirizza. Dopo la Pasqua, dopo la gioiosa commemorazione della morte e risurrezione di Gesù, lo Spirito ci offre una testimonianza su Cristo per convincerci che l’opera del Figlio è, in realtà, opera del Padre: Egli lo ha mandato per la nostra salvezza. Nel fare questo lo Spirito ci muove, ci spinge grazie al suo aiuto ad offrire una testimonianza che sia simile all’opera di amore che Gesù ha compiuto per noi. Convincendoci su Gesù grazie anche alla testimonianza degli apostoli ‒ nel periodo di Pasqua ascoltiamo gli Atti degli Apostoli! ‒, lo Spirito ci invita a seguire l