La domenica di Lazzaro.
«Gesù, allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò […]. Gesù scoppiò in pianto» (Gv 11, 33. 35). Nella quinta domenica della Quaresima il rito ambrosiano ci pone di fronte ad una delle più belle pagine della Scrittura. Lazzaro, l’amico di Gesù, è morto. Egli, dunque, decide di andare con gli apostoli a Betania, di andare lì dove poco prima dei Giudei avevano tentato di ucciderlo. La scena, pertanto, è questa: c’è un morto e c’è aria di morte. Gesù va e compie quello che per Giovanni è l’ultimo segno, il più grande: ridona la vita a Lazzaro. Nel mezzo c’è Gesù che si commuove, si turba e piange. Sono verbi che apparentemente non vogliono dire nulla: come non commuoversi, come non turbarsi, come non piangere di fronte alla scomparsa del proprio amico? Eppure hanno un significato perché il soggetto di questi verbi è Gesù, Dio fatto carne. Qui c’è una rivoluzione teologica: il nostro Dio