Don Primo Mazzolari, "la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana"
Nel 1912 Primo è ordinato prete a Verolanuova, per le mani del vescovo di Brescia, mons. Gaggia, nella chiesa parrocchiale. Le prime esperienze pastorali di don Primo sono a Spinadesco e a S. Maria del Boschetto. Nel 1913 è nominato professore di lettere nel ginnasio del seminario di Cremona. Allo scoppio della Prima guerra Mondiale si schiera con gli interventisti democratici, così come altri giovani cattolici. Nel novembre 1915 muore sul Sabotino l’amato fratello Peppino. Don Primo presta servizio negli ospedali di Genova e poi di Cremona; poi chiede il trasferimento al fronte: non vuole passare per un “imboscato”. Così nel 1918 è destinato come cappellano militare sul fronte francese dove resta nove mesi. Rientrando nel 1919 in Italia decide di voler recuperare le salme dei caduti.
Nel 1920 trascorre sei mesi in Alta Slesia con le truppe italiane inviate per mantenere l’ordine nella zona ceduta dalla Germania alla Polonia. Nel 1920 tornando a Cremona don Mazzolari chiede al vescovo mons. Cazzani una parrocchia. Dopo una breve esperienza a Bozzolo, in provincia di Mantova, ma nella diocesi di Cremona, passa al vicino paese di Cicognara, sul Po, dove rimane fino al 1932. Qui cerca forme nuove per accostare quanti si sono allontanati dalla Chiesa. Il paese, infatti, ha una forte connotazione socialista. L’avvento del fascismo lo vede fin dall’inizio diffidente e preoccupato. Già nel 1922 scrive, a proposito delle simpatie di certi cattolici verso il nascente regime, che “il paganesimo ritorna e ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna”. Nel 1929 mantiene le distanze dagli eccessivi entusiasmi di vescovi e preti per i Patti Lateranensi. Pur non assumendo posizioni di aperta rottura, dai fascisti viene considerato un nemico. La notte del 1° agosto 1931 lo chiamano alla finestra e sparano tre colpi di rivoltella che però non lo colpiscono.
Nel 1932 don Primo è trasferito a Bozzolo. Qui inizia a scrivere in modo regolare: sono questi gli anni in cui redige diverse opere. Nei suoi libri tende a superare l’idea della Chiesa come "società perfetta" e si confronta con le debolezze e i limiti della Chiesa. Ritiene necessario presentare il messaggio evangelico anche ai ‘lontani’, a chi rifiuta la fede forse proprio a causa dei peccati dei cristiani. Egli ritiene che la società italiana vada rifondata completamente sul piano morale e culturale, dando maggiore spazio alla giustizia, alla solidarietà con i poveri, alla fratellanza. Idee simili lo costringono a fare i conti con la censura ecclesiastica e con quella fascista.
Nel 1934 pubblica La più bella avventura, una rilettura della parabola del Figliol prodigo; il testo è condannato dal Sant’Uffizio che lo giudica ‘erroneo’ senza dare ragioni e ne impone il ritiro dal commercio. Obbediente, don Primo si sottomette. Nel 1938 compaiono altri testi: Il samaritano, I lontani, Tra l’argine e il bosco. Nel 1939 è invece pubblicata La via crucis del povero. Le opere successive finiscono però ancora sotto la scure della censura. Nel 1941 le autorità fasciste censurano Tempo di credere, ritenuto un libro non conforme allo ‘spirito del tempo’, quello cioè di un’Italia in guerra. I suoi amici riescono comunque a fare circolare clandestinamente il testo. Nel 1943 torna invece a farsi sentire il Sant’Uffizio che biasima l’opera Impegno con Cristo.
Durante l’occupazione tedesca e la Resistenza don Primo mantiene contatti con vari ambienti e personalità cattoliche. Già inviso ai fascisti, è ritenuto nemico del regime di Salò. Nel febbraio 1944 viene convocato in questura a Cremona; in luglio segue l’arresto da parte del Comando tedesco di Mantova. Liberato, si reca a Gambara (BS), dove si nasconde per alcuni mesi, fino alla Liberazione. A testimonianza di quel tempo scrive Diario di una primavera e Rivoluzione Cristiana, pubblicati dopo la sua morte. L’evangelizzazione, la pacificazione, la costruzione di una nuova società più giusta e libera sono i cardini dell’impegno di don Mazzolari dal 1945 in poi.
Con Il compagno Cristo. Vangelo del reduce (1945) si rivolge a chi torna dal fronte o dalla prigionia, per additare la via tracciata da Cristo. In quegli anni scrive molti articoli e collabora con giornali come Democrazia e L’Italia. Incessantemente continua a interessarsi dei ‘lontani’, specialmente dei comunisti. La sua critica del comunismo è molto dura, come dimostra il dibattito pubblico con un altro celebre cremonese, Guido Miglioli, ex sindacalista cattolico ed ex deputato del Partito Popolare, approdato alla collaborazione con il Partito Comunista. Lo slogan di don Mazzolari è: "Combatto il comunismo, amo i comunisti". Dopo le elezioni del 1948, nelle quali appoggia la DC, ammonisce i parlamentari e li invita alla coerenza e all’impegno. Il titolo di un suo articolo è chiarissimo: "Deputati e senatori vi hanno fatto i poveri". Per creare un movimento di opinione più vasto, don Mazzolari progetta un giornale di battaglia. Nel gennaio 1949 esce il primo numero del quindicinale Adesso.
Il giornale tocca tutti i temi cari al suo fondatore: l’appello a un rinnovamento della Chiesa, la difesa dei poveri e la denuncia delle ingiustizie sociali, il dialogo con i lontani, il problema del comunismo, la promozione della pace in un’epoca di guerra fredda. Al giornale collaborano in molti: Bedeschi, Bergamaschi, Greppi (sindaco socialista di Milano) e tanti preti e laici più o meno noti: Bernstein, Vivarelli, Fabbretti. Don Primo stringe rapporti stretti con le voci più libere e critiche del cattolicesimo italiano del tempo: diventa amico del fondatore di Nomadelfia, don Zeno Saltini, del poeta padre David Turoldo, del sindaco fiorentino Giorgio La Pira, dello scrittore Luigi Santucci e di molti altri.
Il carattere innovativo e coraggioso di Adesso provoca l’intervento vaticano tanto che nel febbraio 1951 il giornale deve cessare le pubblicazioni. In luglio arrivano altre misure personali contro don Mazzolari: proibizione di predicare fuori diocesi senza il consenso dei vescovi interessati; divieto di pubblicare articoli senza preventiva revisione ecclesiastica. Il giornale riparte nel novembre del 1951, ma con un direttore laico, Giulio Vaggi. Don Primo vi collabora utilizzando pseudonimi. In quegli anni si sviluppa un ampio dibattito sulla proposta del movimento dei Partigiani della Pace (a prevalenza comunista) di mettere al bando la bomba atomica e don Mazzolari si dichiara disponibile al dialogo. Ancora nel 1954 don Primo riceve da Roma l’ordine di predicare solo nella propria parrocchia e il divieto di scrivere articoli su ‘materie sociali’.
Con il suo caratteristico linguaggio, che punta a suscitare l’emozione nel cuore, senza voler indugiare nell’analisi scientifica o sociologica, don Mazzolari pubblica negli anni 50 altre opere significative. Nel 1952 esce La pieve sull’argine, un ampio racconto autobiografico, che ripercorre le vicende e le vicissitudini di un prete di campagna (don Stefano) negli anni del fascismo. Nel 1955 appare anonimo Tu non uccidere, che affronta il tema della guerra. Qui Mazzolari riprende un suo inedito del 1941, la Risposta a un aviatore, dove è già posto il problema della liceità della guerra. Accetta l’obiezione di coscienza e pronuncia un duro atto di accusa contro tutte le guerre: “La guerra non è soltanto una calamità, è un peccato”, “Cristianamente e logicamente la guerra non si regge”. Spende le sue ultime energie per affrontare temi nuovi e conoscere problemi sociali anche lontani: nel 1951 visita il delta del Po, nel 1952 fa un viaggio in Sicilia, riportandone forti impressioni, e nel 1953 si reca in Sardegna.
Nella Chiesa italiana Mazzolari divide: da una parte le posizioni ufficiali, dall’altra tanti amici, ammiratori, discepoli che si riconoscono nelle sue battaglie e diffondono le sue idee. Lui rimane coerente al proposito di ‘ubbidire in piedi’, si sottomette ai superiori, ma tutela la propria dignità e coerenza. Alla fine della vita vede qualche gesto di distensione nei suoi confronti. Nel novembre del 1957 l’arcivescovo di Milano mons. Montini lo chiama a predicare alla Missione di Milano, celebre iniziativa straordinaria di predicazioni e interventi pastorali. Infine, nel febbraio 1959, Giovanni XXIII, lo riceve in udienza in Vaticano, lasciando in don Primo un’intensa emozione. Ormai la sua salute è minata. Muore poco tempo dopo, il 12 aprile 1959.
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