"Le emozioni di Dio". Un invito alla lettura.

  


È da poco uscita in libreria l’ultima fatica editoriale di Emanuel Durand, frate domenicano e professore alla Facoltà di teologia di Freibourg in Svizzera, tradotta in italiano dalla Queriniana. Il tema è alquanto interessante - in che senso possiamo attribuire a Dio delle emozioni? - e problematico allo stesso tempo soprattutto perché ormai tutto nella nostra epoca è divenuto emozionante. Tutto emoziona senza lasciare però una traccia. Infatti come dice bene il sottotiolo “tracce di un profondo coinvolgimento” nel caso di Dio si tratta di qualcosa di molto diverso dalla semplice ed effimera emozione che nasce e finisce in un batter di ciglia. Quello attestato dalle Scritture, come dimostra in queste pagine Durand, è un Dio che si emoziona perché desidera la salvezza dell’uomo, ha a cuore le sorti della sua creatura che è sua immagine e sua somiglianza. Districandosi abilmente tra filosofia – in particolare quella tomista - e teologia, l’autore riesce a restituire un tratto che la teologia per paura forse ha dimenticato, “schiacciata” dall’idea di immutabilità di Dio che nei primi secoli di fronte ad ogni eresia è stata difesa. Un Dio immutabile non vuol dire un Dio anafettivo, freddo, fossilizzato, non partecipe delle vicende di ogni uomo. Pertanto le emozioni sono di Dio, gli appartengono, tanto più che suo Figlio ha sofferto, ha pianto, ha gioito, è stato preso da collera, da tristezza; insomma ha mostrato un tratto profondamente umano che è anche profondamente divino. Se finalmente superassimo quel pregiudizio per cui le emozioni appartengono all’irrazionale, riusciremmo forse a comprendere l’uomo nel suo effettivo vissuto e, allo stesso tempo, una certa immagine di Dio sarebbe abbandonata. In quest’opera Durand si dimostra ancora una volta teologo solido, ancorato alla tradizione teologica – Agostino e Tommaso in primis – e capace di cogliere nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo quegli aspetti che possono essere usati per vivificare una teologia che rischia di ripiegarsi su se stessa.

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