La teologia del matrimonio di Walter Kasper tra luci e ombre.
L’Autore, come fa intendere il titolo della sua opera, vuole offrire una prospettiva teologica del matrimonio cristiano. Tuttavia, quella espressa in queste pagine è la prospettiva cattolica. Nel libro si accenna a Lutero e alla tradizione orientale ma, se si entra in un pur timido dialogo – in particolare con la tradizione luterana ‒, è per evidenziare la differenza che intercorre tra il punto di vista cattolico e quella luterano, permettendo così di mettere in luce la concezione di sacramento in merito al matrimonio espressa nel concilio di Trento.
In
secondo luogo l’Autore, a più riprese, nella prima parte, sottolinea come il
sacramento del matrimonio sia tra i sacramenti quello che congiunge ordine
della creazione e ordine della salvezza/redenzione. Tuttavia, questa
congiunzione, forse anche a motivo del taglio giuridico-pastorale che
caratterizza la seconda parte del libro, appare abbozzata ma non pienamente
articolata. Dalla lettura complessiva dell’opera, infatti, si ha l’impressione
che il polo antropologico e il polo teologico del sacramento del matrimonio
vengano accostati e non rapportati nella loro unità e differenza. L’evento
cristologico, che fonda il sacramento del matrimonio, sembra portare a
compimento l’antropologico, quando con l’amore fedele si apre al definitivo e,
quindi, al mistero. Tuttavia così non viene enunciata la specificità, il proprium
del polo teologico. Prova ne è il fatto che, a più riprese, venga
sottolineato come l’amore fedele e fecondo è già partecipazione dell’amore che
c’è tra Dio e gli uomini, pienamente e definitivamente manifestato in Gesù
Cristo.
La novità
dell’esperienza sacramentale vi pare ultimamente espressa in ciò che Dio
aggiunge all’amore terreno, per il fatto che nell’incarnazione del Figlio ha
accettato una volta per sempre l’umano e lo ha, quindi, affermato
contemporaneamente nella sua propria dignità, rendendolo espressione del suo
amore. Questa formulazione, però, inclina a considerare l’evento salvifico solo
come ciò che Dio compie in occasione dell’incarnazione, senza dare rilievo alla
effettiva vicenda storica di Gesù di Nazareth e alla complessa trama di
rapporti e di vicende entro cui l’amore divino viene a comunicarsi. L’uomo sembra così risultare semplicemente
destinatario dell’amore di Dio, recettore di benefici che raggiungono la sua
libertà, senza che sia messo a tema in che modo questa non solo ne viene
investita, ma interpellata[1].
In
una simile prospettiva, infatti, c’è da chiedersi cosa è il sacramento del
matrimonio rispetto a questo amore, se esso è già segno?
Un
simile “difetto” sembra essere riscontrabile, quando, nell’ambito del quarto e
ultimo capitolo, si tenta di presentare il rapporto tra matrimonio civile e
matrimonio ecclesiastico. La prospettiva storica, qui adottata, se fa
comprendere il motivo dell’istituzione del matrimonio civile, non evidenzia,
però, la diversità e, dunque, la specificità di questo rispetto al sacramento
del matrimonio.
Nel
passaggio da un modello oggettivistico ad un modello personalistico, che
esprime l’originalità dell’opera dell’Autore, si ravvisano alcuni rilievi
critici. Discutibile, infatti, appare la definizione dell’amore, che si trova
nella prima parte, in particolare nel primo capitolo, fondata sul bisogno.
Sembra connotare l’amore, nel suo sorgere, come una sorta di penuria che va
superata, una mancanza che idealmente non dovrebbe esserci. Il sorgere
dell’amore, detto in altri termini, sembra essere rimedium finitudinis.
Inoltre, a proposito della sessualità umana intesa come “strumento” della
comunicazione intersoggettiva, Kasper sembra dare adito ad una separazione tra
esteriore e interiore, libertà e corpo che, nel suo stesso intento, vorrebbe
superare.
Infine
il fatto che, dapprima, nei primi due capitoli, si parli del matrimonio come
“qualcosa che si celebra”, senza che venga indagata la dimensione liturgica del
matrimonio, e, successivamente, nel terzo e quarto capitolo, il matrimonio
venga definito un contratto, sembra indicare, nella terminologia, una
regressione, quasi un cedimento ad un’impostazione pre-conciliare che si
vorrebbe superare. Va sottolineato che questo cedimento è comprensibile dato il
fatto si tenta di trovare una soluzione al problema dei divorziati risposati
anche sotto il profilo canonico-pastorale. Infatti, come ho avuto modo di
rilevare sopra, il Codice di diritto canonico allora vigente era quello del 1917
e non quello del 1983 che, da questo punto di vista, ha codificato
l’insegnamento conciliare.
In
conclusione l’opera di Kasper, sia con i suo elementi positivi sia con i suoi
elementi critici di cui si è cercato di dar conto, tenta di comprendere la sacramentalità
del matrimonio secondo un modello che potremmo definire antropologico-dogmatico[2]: la
realtà naturale, quindi il contratto matrimoniale, è il sacramento. Sulla scia
della speculazione teologica di Schillebeekx il matrimonio è presentato da
Kasper come
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