Ma quanti giochi esistono?
Un dato osservabile riguardo al fenomeno ludico è costituito dal fatto che esso prende varie e complesse forme. Dai giochi di destrezza a i giochi di società, dai giochi olimpici ai giochi di carte, il grande numero e l’infinità varietà dei giochi fa disperare di poter trovare un principio di classificazione che consenta di suddividerli per tipologie. Inoltre è da osservare che si può giocare ad uno stesso gioco da soli o in molti, con altri. La classificazione dei giochi di Roger Caillois, ad oggi, appare la più convincente, benché non esaurisca l’intero universo del fenomeno ludico. Egli, nella sua celebre opera I giochi e gli uomini, ponendosi lungo la scia aperta dall’opera sul gioco di Huizinga[1], propone quattro categorie principali a seconda che nei giochi considerati predomini il ruolo della competizione, del caso, del simulacro o della vertigine. Queste quattro tipologie, pertanto sono: agon, alea, mimicry e ilinx[2]. Questi quattro tipi, inoltre, possono essere compresi fra due poli.
«Ad un’estremità regna
quasi, incondizionatamente, un principio comune di divertimento, di turbolenza,
di libera improvvisazione e spensierata pienezza vitale, attraverso cui si
manifesta una fantasia di tipo incontrollato che si può designare con il nome
di paidia. All’estremità opposta,
questa esuberanza irrequieta e spontanea è quasi totalmente assorbita, e
comunque disciplinata, da una tendenza complementare, opposta sotto certi
aspetti, ma non tutti, alla sua natura anarchica e capricciosa: un’esigenza
crescente di piegarla a delle convinzioni arbitrarie, imperative e di proposito
ostacolanti, di contrastarla sempre di più drizzandole davanti ostacoli via via
più ingombranti allo scopo di renderle più arduo il pervenire al risultato
ambito. Quest’ultimo diventa perfettamente inutile, benché esiga una somma
sempre più grande di sforzi, di tenacia, di abilità o sagacia. A questa seconda
componente dò il nome di ludus»[3].
Ma quali sono le caratteristiche delle tipologie del fenomeno ludico elaborate da Caillois? Sotto la categoria di agon si possono raggruppare tutta una serie di giochi che hanno come caratteristica principale la competizione. Si trattano, quindi, di una rivalità fra due o più giocatori in rapporto ad una determinata qualità come, per esempio, la rapidità, la resistenza, la forza, la memoria, l’abilità, l’ingegnosità. La molla di questo gruppo di giochi è il desiderio di veder riconosciuta la propria superiorità in un determinato campo. Per questo la pratica dell’agon implica un’attenzione costante, un allenamento costante e graduale, sforzi assidui, la volontà di vincere, in altri termini disciplina e perseveranza[4]. Alea è il termine latino che indica il gioco dei dadi e, sotto questa categoria, si possono raggruppare tutti quei giochi che si fondano su una decisione che non dipende dal giocatore e sulla quale egli non può far minimamente presa; giochi nei quali, più che vincere su un avversario, “si sfida la sorte”. In questa serie di giochi il giocatore è totalmente passivo, non deve impegnare le sue qualità o le sue disposizioni, le risorse delle sue abilità, dei suoi muscoli, la sua intelligenza. Deve solo aspettare solo che giunga il momento favorevole, rischiando. L’alea, per questo, rappresenta la negazione del lavoro, della pazienza, della destrezza, eliminando l’allenamento[5]. Con la tipologia di mimicry viene designato un insieme di giochi che presuppone l’accettazione temporanea, se non di un’illusione (per quanto questa parola non significhi altro che l’entrare in un gioco: in-lusio), almeno di un universo fittizio. Il gioco può consistere nel diventare noi stessi un personaggio illusorio comportandoci di conseguenza, nell’assumere un ruolo o una maschera. Mimica e travestimento sono le due molle principali di questo insieme di giochi. Nel caso di un bambino egli, per esempio, imita l’adulto: la bimba che gioca a “fare” la mamma, il bambino che finge di essere un soldato o un poliziotto per esempio. Di qui il successo dei costumi – pensiamo al carnevale[6]! – e dei giocattoli[7] che riproducono in miniatura gli arnesi, gli apparecchi, le armi, le macchine di cui si servono i “grandi”. Il piacere che procurano questi giochi consiste nell’essere un altro o nel farsi prossimo per un altro[8].
«La mimicry è invenzione continua. La regola del gioco è unica:
consiste per l’attore, nell’affascinare lo spettatore, evitando che un
eventuale errore porti quest’ultimo a rifiutare l’illusione; e consiste, per lo
spettatore, nel prestarsi all’illusione senza ricusare di primo acchito lo
scenario, la maschera, l’artificio cui viene invitato a prestar fede, per un
determinato periodo di tempo come ad un reale più reale del reale»[9].
[1] Cfr. J. Huizinga, Homo ludens, 3-35.
[2] Cfr. R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la
vertigine, 28.
[3] Ibi, 29.
[4] Cfr. Ibi, 30-33.
[5] Cfr. Ibi, 33-36.
[6] Sotto questo profilo, uno dei primi a ravvisare le origini ludiche di gran
parte delle espressioni artistiche e, quindi anche del dramma e del teatro, in
coerenza con la tesi della sua opera, è stato Huizinga. Cfr. J. Huizinga, Homo ludens, 160-172. Inoltre, cfr. S. Dalla Palma, Gioco e teatro nell’orizzonte simbolico,
in «Vita e Pensiero», 5/1973, 68-83.
[7] E’ interessante notare, con Winnicott, che nel caso dei giocattoli di ogni
tipo, a livello psicologico, esiste una differenza tra l’entrare in rapporto con
un oggetto e il fare uso dell’oggetto. Scrive, infatti, il noto psicoanalista:
«Nell’entrare in rapporto con l’oggetto il soggetto consente che certe
modificazioni abbiano luogo nel suo sé, modificazioni di quel tipo che ci ha
portato a inventare il termine “carica”. L’oggetto ha assunto un significato.
Meccanismi proiettivi e identificazioni hanno agito, e il soggetto è svuotato
al punto che qualcosa del soggetto si
ritrova nell’oggetto, sebbene arricchito dei suoi sentimenti» (D. Winnicott, Gioco e realtà, 141). Diversamente «per
usare un oggetto, il soggetto deve aver sviluppato una capacità di usare gli oggetti.
Questo è il passaggio al principio di realtà. Non si può dire che questa
capacità sia innata, né si può dare per certo il suo sviluppo in un individuo.
Lo sviluppo che dipende dalla capacità di usare un oggetto è un altro esempio
del processo maturativo come qualcosa che dipende da un ambiente familiare» (Ibi, 143-144).
[8] Cfr. R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la
vertigine, 36-40.
[9] Ibi., 40. Ci siamo permessi di insistere sulla
tipologia di mimicry perché, in sede
teologica, risulterà decisiva per delineare una “cristologia ludica”.
[10] Ibi, 40.41.
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