Rifare i preti? Dialogo con Enrico Brancozzi.
Un primo punto che
condivido sta nel fatto che occorre prendere coscienza della fine della
cristianità e per questo va ripensata la formazione presbiterale — la
formazioni iniziale si intende perché quella permanente, benché in una marea di
documenti magisteri ali esista, di fatto in Italia è poco sviluppata. L’idea è
giusta e corretta perché la forma della Chiesa influenza necessariamente la
formazione presbiterale, sia in modo positivo sia in negativo. Tuttavia non
esiste un’esigenza di “fare” i preti perché per 1500 anni circa i seminari non
sono esistiti e di preti, bravi e santi ce ne sono stati. L’esigenza semmai è
quella di discernere e scegliere all’interno del Popolo di Dio alcuni per il
presbiterato. Questa scelta e questo discernimento non può essere deputata solo
ad alcuni (gli educatori del seminario) ma deve essere della Chiesa tutta. Sta
qui la vera sfida: rendere la Chiesa capace di dire che ci sono uomini che
hanno l’odore delle pecore e non l’odore della sacrestia. In una Chiesa società
perfetta e gerarchica, che al di là di papa Francesco, è di fatto la nostra
forma di Chiesa, i seminari funzionano e funzioneranno, anche se qualcosa
cambierà. In una Chiesa popolo di Dio dei seminari potremmo fare a meno, così
come è stato agli albori del cristianesimo. Perfino i vescovi venivano scelti
tra il popolo di Dio: si veda per esempio l’elezione di Ambrogio a vescovo di
Milano.
Un secondo aspetto sul
quale mi vorrei soffermare e che forse va oltre il bel libro di Enrico è
questo: la pastorale non è opera del prete. Anche purtroppo nei discorsi di
papa Francesco e non solo in tanta letteratura teologia, non si riesce a capire
che la pastorale è l’opera di una comunità all’interno della quale, in mezzo
alla quale agisce il sacerdote. Paradossalmente un prete può essere anche
incapace e un inetto, ma stare in una comunità fervente ed effervescente. La
pastorale non è il successo o l’insuccesso del presbitero, ma è l’azione che la
Chiesa in quel territorio compie. Proprio per questo i seminari, dove si impara
a fare i preti, sono inutili, cioè non servono a nulla. Un prete, una volta
ordinato, deve fare una cosa: non spegnere la fede, la speranza e la carità che
è in ogni pecora a lui affidata. Perché se si spengono la fede, la speranza e
la carità, all’azione della Chiesa gli viene a mancare il motore.
Il libro di Enrico va
sicuramente letto perché fa riflettere ed uno sguardo acuto sui nostri tempi,
ma prima di “ri-fare” i preti, occorre “ri-fare”, meglio essere Chiesa.
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