A fine ottobre si è conclusa la prima tappa del Sinodo sulla sinodalità voluto da Papa Francesco. Per ragioni legate all’attualità, ormai non se ne parla più, ma, a ben vedere, mancano pochi mesi all’altra decisiva tappa prevista per il prossimo ottobre. Nei mesi scorsi alcuni autorevoli partecipanti hanno preso la parola e detto la loro. Pensiamo a quanto hanno scritto Piero Coda e Severino Dianich su SettimanaNews, seppure con accenti diversi: il primo entusiasta, il secondo tiepido. Ma oggi, che siamo quasi a metà strada tra le due tappe, cosa resta? In primo luogo ci sono le persone che vi hanno preso parte che, giustamente, nel silenzio stanno custodendo l’ascolto che in quella sede hanno sperimentato. Lo stesso cardinal Grech ha ammesso, a conclusione del Sinodo, che moli partecipanti sono entrati in assemblea scettici e ne sono usciti spiazzati. Non solo perché prima il processo sinodale non era, di fatto, avviato e, quindi, hanno sperimentato cosa significa “fare” un Sinodo
Aristotele tratta del gioco nell’ Etica Nicomachea . Anche se, come è noto, la pubblicazione delle opere dello Stagirita è dovuta ai suoi discepoli , in quanto egli non concepì mai le sue opere come libri da pubblicare ma come il sostrato dell’attività didattica [1] , la collocazione della trattazione del gioco è di particolare interesse. Infatti esso è fatto oggetto di indagine all’interno del IV libro, dove si parla delle virtù etiche, delle virtù cioè legate al comportamento. Tra di esse vi è il garbo che, a giudizio di Aristotele, trova la sua più evidente espressione nel gioco. Pertanto giocare , o meglio saper giocare , è questione di comportamento, di virtù. Lo Stagirita così si esprime: «il riposo, poi, e il divertimento ( paidia ) si ritiene che siano necessari nella vita. Nella vita corrente, tre sono le medietà di cui abbiamo parlato, e tutte e tre riguardano i rapporti reciproci fatti di parole e azioni. Ma differiscono perché una riguarda la verità, le altre d
Di straordinario interesse sono le pagine che un grande ludi magister in epoca contemporanea, Hans Gadamer , dedica al tema del gioco. Egli, considerato, seppur con qualche perplessità da alcuni interpreti [1] , tra i più platonici del XX secolo [2] , dedica una parte della sua celebre opera Verità e metodo al fenomeno ludico , vedendo in esso la possibilità di mostrare l’ontologia dell’opera d’arte. Il gioco è assunto dal filosofo come filo conduttore della esplicazione ontologica. Questo modo di indagare il fenomeno ludico potrebbe sembrare inopportuno, eppure, come vedremo, permette di comprendere il gioco sotto una luce nuova rispetto a quanto ha fatto la filosofia contemporanea. Dopo aver criticato chi sostiene la non serietà del gioco [3] , Gadamer dichiara che «il gioco raggiunge il proprio scopo solo se il giocatore si immerge totalmente in esso. Non il rimando esteriore del gioco alla serietà, ma solo la serietà del giocare fa sì che il gioco sia interamente gioco. Ch
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