I paradossi del cattolicesimo borghese (3). Il peso della storia e la difficile riforma della Chiesa.

 

La Chiesa attuale è così perché ha alle spalle una storia che pesa. Questa storia è perlopiù costituita da quel particolare e intricato rapporto che si è instaurato con lo Stato tanto che essere suddito o cittadino voleva dire essere cattolico e viceversa. Oggi, in un sistema di libertà religiosa e di pluralismo religioso, non è possibile l’equivalenza cattolico = cittadino. Mentre qualche secolo fa in uno Stato vi era una sola confessione cristiana o al massimo due, oggi vi possono essere più confessioni cristiane, più religioni, perfino chi non crede. Tutto questo pone dei grandi problemi alla trasmissione della fede. Essa, prima, era garantita da un sistema giuridico che la imponeva fin dalla nascita: non si sceglieva di essere cattolico, lo si era perché nascevi in quel determinato Stato. Nel giro di pochi secoli, quindi, si è passati, all’interno di uno Stato, dall’essere una maggioranza all’essere minoranza. Questo ha ripercussioni anche e soprattutto a livello ecclesiale perché le istituzioni e la prassi di qualche secolo fa oggi non hanno più motivo di esistere. Eppure è tangibile una grande fatica nel rinnovarsi. Una riforma radicale della Chiesa, considerato l’attuale contesto culturale, sociale, politico e giuridico stenta a decollare. A dire il vero se è da più parti sentita la necessità e l’urgenza di una riforma della Curia romana in grado di meglio rispondere alla sfide del nostro tempo, è, però, non avvertita la necessità e l’urgenza di una riforma delle istituzioni delle chiese locali. Quest’ultime sembrano destinate a rimanere così come sono oggi: intoccabili, non riformabili. Si crede che, mettendo a capo di una struttura ecclesiale una persona adeguata, quella stessa struttura si riformerà, quasi per magia, e non ci si accorge, al contrario, che, se la struttura è inadeguata, anche la persona più idonea a questo mondo, non svolgerà bene l’incarico che gli è stato affidato. Comunque se a livello della Chiesa universale un cambiamento è auspicato e auspicabile, è a livello delle Chiese locali che non si pensa e non si da’ avvio ad un processo riformatore. Tuttavia non ci potrà essere vera riforma se la Chiesa, in ogni suo livello, non cambierà. In questo modo si corre il rischio concreto, a motivo del fatto che non si sente e/o non si vuole cambiare, di vedere trasformate le terre di fede cristiana da lunga data in deserti. Le istituzioni ecclesiali sono fatte per essere migliorate nel tempo e non per rimanere sempre le stesse. Pensiamo, per esempio, ai seminari. Questi non sono di istituzione divina. Per 1500 anni circa la Chiesa ne ha fatto a meno. Da Trento in poi si sono diffusi e sviluppati. Oggi sono degli edifici che, a causa del numero calante delle vocazioni, sono pressoché disabitati. A che serve mantenere tale istituzione? Questo non significa che non bisogna rinunciare alla formazione sacerdotale ma occorre recidere il legame tra tale formazione e quella istituzione. D’altronde la Chiesa ha formato sempre nei secoli dei sacerdoti ma non tutti quelli che ha formato erano e sono santi: non è una determinata formazione – in qualunque ambito, non solo ecclesiale - che garantisce la santità di una persona! Questo è tanto più vero se si prendono in considerazione i recenti casi di pedofilia: non è mettendo un rattoppo ad un vestito vecchio – l’introduzione della psicologia nella formazione sacerdotale – che la “situazione” potrebbe, di colpo, “magicamente”, migliorare. Di esempi riguardo a istituzioni inutili se ne potrebbero fare ma quello che va sottolineato è il fatto che, se non si vuole cambiare, almeno non si peggiori la situazione!

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