Ripartendo dalla bellezza. I cattolici e la politica.
Oggi,
nell’attuale contesto economico e politico, si fa un gran discutere su ciò che
si può o ciò che si deve fare per uscire dall’attuale crisi. Il rischio, però,
che si va profilando sta nel fatto che, misconoscendo la sua radice
fondamentalmente antropologica, l’attuale situazione si aggrovigli ancor di
più, non riuscendo così a dipanare l’intricata matassa. Detto in altri termini,
si può andare oltre questo aevum solo
facendo leva su una visione dell’uomo. L’uomo è attratto da ciò che unisce più
da ciò che divide. L’uomo anela, aspira alla bellezza. E’ questa l’intuizione
che sta dietro l’appendice di Introduzione
alla vita cristiana di un politico. Pagine della Sacra Scrittura per un
amministratore del bene pubblico (Edizioni Segno, 6 euro).
Essendo la
nostra un’epoca in cui il ‘particolare’ chiede e rivendica spazio a discapito
dell’ ‘universale’, occorre trovare un progetto per il quale tutti, credenti e
non, possono impegnarsi. Questo progetto comune non può che essere il bello.
Anzitutto perché la bellezza attrae, seduce, affascina. Essa è, dunque, capace
da sola di aggregare, di istituire legami perché il fascino che esercita su di
me, lo esercita anche sugli altri. La bellezza è fonte e causa di comunione:
essa può generare una comunità. Ciò che è bello permette di superare le
barriere, le divisioni convincendo e stupendo. Di fronte ad una quadro o ad una
statua bella l’unico atteggiamento possibile è l’ammirazione. La bellezza, come
affermava Agostino, poiché è datrice di senso, offre una ragione che per alcuni
può e deve essere una ragione di vita. Essa chiede di non essere deturpata e,
quindi, di essere custodita ed amata. L’uomo tenta, attraverso i musei, di
conservare il bello che nel mondo in cui vive c’è. In secondo luogo il pulchrum è legato al bonum e al verum. La bellezza istruisce su ciò che è buono e, per questo, può
generare virtù. Pensiamo, per esempio, al ciclo giottesco della basilica di S.
Francesco ad Assisi. La gente, guardando, quegli affreschi comprendeva la
figura del Santo e veniva sollecitata ad imitarlo. Sotto questo profilo, la
bellezza educa a ciò che è esemplare per una comunità. Ma essa è anche vera
perché ha a che fare con il reale, con il contingente, con ciò che qui ed ora è
possibile, con la concretezza del vivere. Come dubitare della bellezza del
Giudizio universale di Michelangelo una volta che ci si trova dinnanzi? Infine,
un ultimo aspetto riguarda il fatto che la bellezza è un linguaggio che tutti
comprendono, è universale, è di ogni latitudine e longitudine e, dunque,
include e non esclude. Essa, da sola, in sé ha la forza di integrare perché
avvicina culture che possono essere distanti. La bellezza genera pace, armonia,
concordia; essa affratella e, commuovendo, porta a ricercare la sensazione di
dolcezza, di piacere che lascia una volta che ha conquistato il cuore
dell’uomo.
Tutto ciò porta
ad affermare che l’unica “ricetta” contro la crisi è una politica che potremmo
definire estetica perché, parafrasando Dostojeski, la bellezza salverà anche la
politica. E’ questa un’idea nuova che dovrebbe diffondersi. Dietro ad ogni
riforma che si va facendo ci si dovrebbe chiedere quale visione dell’uomo e,
dunque, della società si sta proponendo. La crisi non si sconfiggerà mai
aspettando che qualche indicatore economico ci dia un segnale molto positivo o,
come alcuni sostengono, accettando la decrescita felice che sembra essere il
nostro destino, ma attraverso un “ritorno all’uomo”. Una nuova politica, una
politica estetica, è possibile nella misura in cui davvero un’antropologia è a
fondamento di qualsiasi politica.
L’idea che
stiamo proponendo permette anche di ri-leggere la presenza dei cattolici in
politica. Non più uniti dalla convivenza in un partito, ma dispersi in
molteplici partiti, i cattolici rischiano di essere una minoranza anonima,
sbiadita, frammentata e, come tutti oggi, alle prese con terribili operazioni
economiche. Se i cattolici, nel mondo come nella politica, sono chiamati ad
essere un piccolo gregge capace di far lievitare la massa, dato anche il
dominio assoluto del discorso economico, essi rischiano di essere una minoranza
“insignificante”, una minoranza che non sa più proporre. Eppure i cattolici
dovrebbero essere i custodi, i profeti di quella bellezza che prende il nome di
bene comune. Ecco allora che una politica estetica apre spazi e orizzonti nuovi
anche per loro. Conquistati, afferrati dalla Bellezza, da Gesù Cristo, i
cattolici possono e debbono conquistare altri alla bellezza, facendo anche
politica. Proprio perché la bellezza imprime a tutti un movimento centripeto,
essi possono coinvolgere tutti in questo movimento. Una politica estetica rende
i cattolici dei sapienti accompagnatori nell’itinerario che va dalla periferia
al centro. Sorretti da un’insaziabile anelito alla bellezza, essi debbono
invitare tutti quelli che trovano ai crocicchi delle strade, ben sapendo che
l’operaio dell’ultima offre un uguale e valido aiuto come l’operaio della prima
ora. A qualcuno potrebbe apparire questo nostro ragionamento a-storico ma ecco
una prova di quanto stiamo affermando: «I cristiani né per regione, né per
voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non
abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un
genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di
uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come
fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato,
e adeguandosi ai costumi del luogo, nel vestito, nel cibo e nel resto,
testimoniano un metodo di vita mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono
nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da
tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro e
ogni patria è straniera. [..] Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro
vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti vengono perseguitati» (A Diogneto, V, 1-11). L’autore della
lettera a Diogneto ci testimonia che i cristiani, i cattolici per quanto
riguarda l’Italia, possono essere davvero lievito che fermenta la massa, allora
come oggi. E’ quel “modo di vita mirabile e paradossale” che li rende diversi
da tutti e, allo stesso tempo, simili a tutti. La bellezza fa proprio questo:
ti rende diverso perché ti impegna per qualcosa che solo per te vale – il bello
ha un valore inestimabile! - e, allo stesso tempo, ti rende uguale agli altri
perché il mio “lavoro” non è poi così diverso da quello degli atri uomini: la
ricerca di un bene comune possibile qui e ora.
In questo nostro
discorso c’è anche un altro aspetto da considerare e valutare attentamente. In
Italia la presenza dei cattolici in politica si è appiattita, dagli anni
Novanta ad oggi, sui cosiddetti valori non-negoziabili a motivo della presenza
di politici di area cattolica in molteplici partiti. Questo appiattimento non
ha reso i cattolici una minoranza significativa ma li ha resi, agli occhi
dell’opinione pubblica, un “partito trasversale del no” . Inoltre esso ha
provocato un’ ambiguità di fondo: quali sono i valori negoziabili e quali
non-negoziabili nell’ambito sociale? Facciamo una constatazione per intenderci
meglio. I cattolici amano parlare dell’etica. Tuttavia lo fanno solo per ciò
che riguarda il tema della famiglia e della bioetica. Essi sembrano assenti o
meglio silenti quando occorre trattare di temi come la corruzione, la legalità,
il rapporto datore di lavoro-operaio che l’attuale crisi sta modificando, temi
nei quali il discorso etico ha la sua dignità, la sua “consistenza”. Si ha l’impressione
che l’etica debba essere messa nel circolo della discussione solo quando
vengono toccati alcune delicate questioni. «L’etica sì ma non troppo!» come a
dire che i cattolici sono interessati e ne parlano volentieri solo quando il
più o meno famoso politico di turno parla di eutanasia o di matrimoni tra
persone dello stesso sesso. In altri settori della vita pubblica l’etica rimane
silenziosa, perfino assente. Eppure quei cattolici che si riempiono la bocca di
etica, apparendo cultori della materia, dovrebbero essere delle brave
sentinelle anche quando altri temi scottanti, di fronte a fatti evidenti di
cronaca, diventano dominio dell’opinione pubblica. E questo per un semplice
motivo: non si può suscitare il minimo dubbio di essere collusi con strutture
di peccato presenti nel nostro Paese. Sotto la famosa dicitura di valori non
negoziabili dovrebbero rientrare la lotta contro la corruzione, l’impegno
costante per la legalità, la creazione di un nuovo rapporto datore di
lavoro-operaio fondato sul rispetto della dignità della persona, la lotta alla
prostituzione, temi questi che hanno un risvolto nel discorso etico e non solo
politico. Non possono esserci alcuni valori negoziabili e altri no per i
cattolici e questo perché la fede in Cristo pro-voca una nuova umanità, crea un
umanesimo diverso. Si è in Cristo nuova creatura al punto tale che ogni morale
non solo che non sposa la weltaschaung
del cristianesimo, ma disumanizzante dovrebbe essere oggetto di critica da
parte dei cattolici. Sull’etica si corre il rischio di essere cattolici a metà,
al 30% o al 20%.
Quanto stiamo affermando spiega anche perché
se i cattolici, nel loro coinvolgere anche i non credenti nell’ambito politico,
debbono riferirsi ai principi del diritto naturale, il rischio per loro è
davvero l’insignificanza. Come può, oggi, un principio, immutabile, universale,
tradursi concretamente di fronte alla complessità dei problemi che l’attuale
crisi fa emergere? Se quei principi non si traducono in azioni, in leggi, in
attività, significa che stanno o hanno perso il loro valore. Ecco quindi che si
impone un Evangelo anche per il politico[1].
Questa è l’idea presente nella parte centrale dell’ opera Introduzione alla vita cristiana di un politico. Pagine della Sacra
Scrittura per un amministratore del bene pubblico. Alcune illuminanti
pagine della Scrittura possono più e meglio dei principi di diritto naturale
orientare, sostenere l’azione concreta dei cattolici in politica. Nella
Scrittura è contenuta la Parola di Dio. E’ dal costante e perseverante confronto
con essa che può nascere una nuova presenza dei cattolici in politica. Se c’è
una luce, una lampada per i passi di qualsiasi cristiano, anche del politico,
questa non può non essere che la Parola di Dio. Essa purifica, libera e
converte e, per questo, permette di rinnovarsi, offre la possibilità di una
rinnovata testimonianza.
Ecco la tesi
centrale della nostra riflessione: guidati dalla bellezza, i cattolici possono
in politica essere testimoni dell’Evangelo. Il guadagno da questo legame con la
Scrittura è notevole. Ovviamente i cattolici non solo luterani. Il principio di
sola Scriptura non può essere
affermato e praticato. Quello che noi stiamo criticando è il fatto che il
costante richiamo o riferimento a principi di diritto naturale non può essere
il criterio grazie al quale dirsi in politica cattolico. Ad alcuni può sembrare
strano ma l’Evangelo, anche nell’ambito politico, è il “sassolino” d’inciampo.
Nell’azione politica si guadagna un fondamento, una roccia sulla quale
costruire. I fiumi possono riempirsi e straripare – si pensi all’attuale crisi
– ma ciò che è costruito sulla roccia rimane. Un testimone, capace di vivere la
sequela Christi nella politica,
affascina molto di più dei principi, degli ideali.
Tutta la
Scrittura può offrire un messaggio utile qui e ora a illuminare la storia che,
in quel momento, si sta vivendo, l’azione che si sta compiendo e, dunque, anche
l’attività politica che si sta svolgendo. Alcune pagine certamente sono più
“utili” di altre. Facciamo due esempi che vengono anche trattati nel libro che
sopra abbiamo parlato.
La nota pagina
matteana o lucana delle tentazioni dovrebbe permettere di prendere coscienza
che, senza scadere in dottrina demonologiche, se non è qualcuno, è qualcosa a
tentarci. Un politico, come ogni uomo, è soggetto a tentazioni. Occorre essere
coscienti di chi o cosa ci tenta. Sicuramente la “sua” tentazione si chiama
potere. Giunto ad un così nobile e alto sevizio, un politica potrebbe, anche
senza consapevolezza e credendo di servire una buona causa, usare dell’autorità
che gli è stata data per manipolare cose e persone. Basta leggere i giornali
per rendersi conto di quanto attuale sia il messaggio di questa pagina della
Scrittura!
Un altro esempio
può essere dato dal noto “ inno alla carità” di Paolo che troviamo in 1Cor 13.
Esso può e deve essere il metro di “ giudizio” per qualunque azione, anche
nell’ambito politico. Se il servizio che un politico cattolico rende al suo
Paese non è connotato, non è informato dalla carità, così come l’Apostolo delle
genti la descrive, non si può dire che ha reso un’efficace testimonianza all’
Evangelo, probabilmente ha offerto una “contro-testimonianza” non solo ai
cattolici, ma anche a chi cattolico non è.
In conclusione
se i cattolici vogliono essere una presenza significativa anche in politica,
essi non possono sottrarsi al rinnovamento della loro testimonianza nello
spirito dell’ Evangelo. Seguire Gesù non è una prerogativa di alcuni: riguarda
ogni uomo e ogni donna che, nella sua condizione di vita, si dice credente.
Data l’estrema necessità di riforma che si ravvisa da più parti nel nostro saeculum, l’Evangelo spinge ad una nuova
presenza dei cattolici impegnandosi affinché questo mondo si trasfiguri in
luogo di bellezza per tutti.
[1] L’idea, per quanto ci è dato di sapere, che la crisi si sconfigge non con un surplus di etica o con un ritorno all’etica, ma con l’Evangelo è stata per la prima volta espressa dal compianto cardinal Martini sul Corriere della Sera. La critica, inoltre, ai principi di diritto naturale è stata ampaimente sviluppata da Böckenfôrde. cfr. E-W. Böckenfôrde, Cristianesimo, libertà, democrazia, Morcelliana, Brescia, 2007.
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