Sul Concilio Vaticano II.

E. Brancozzi, Un popolo nella storia. Introduzione alle questioni ecclesiologiche del Concilio Vaticano II, Cittadella Editrice, Assisi 2015, pp. 315, € 22,50.
È un’interessante e accurata lettura della riflessione sulla Chiesa che il Concilio Vaticano II ha svolto – che, come è noto, si è condensata nelle note Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes – l’ultima fatica editoriale del prof. E. Brancozzi dal titolo alquanto significativo Un popolo nella storia. In quest’opera il giovane sacerdote della diocesi di Fermo, nonché docente di Teologia dogmatica presso l’Istituto Teologico Marchigiano, di cui è anche vicepreside, con passione e competenza offre una chiave di accesso al più grande evento della Chiesa cattolica nel Novecento. Rifuggendo da tecnicismi, Brancozzi permette a tutti di entrare nel cuore della riflessione che, tra il 1962 e il 1965, si svolse all’ombra della Cupola della Basilica di San Pietro e, allo stesso tempo, di coglierne la imperfetta ricezione, in gran parte da attuare. La grande mole di studi che sono stati prodotti sul Concilio Vaticano II, che il teologo fermano mostra di possedere, permette a tutti di capire come, stando ai testi, il dettato conciliare rappresenti un elemento di forte discontinuità rispetto al magistero preconciliare, di fronte a tentativi da parte di diversi membri della stessa Chiesa di ricondurre i risultati del Vaticano II in un’ottica di continuità con la Tradizione, non da ultimo il noto discorso di Benedetto XVI del 2005 alla Curia romana, sul quale una certa tendenza ermeneutica attuale si fonda. Inoltre, la conoscenza dei fatti e dei testimoni, come il segretario di Giovanni XXIII, card. Loris Capovilla, permette a Brancozzi di mostrare come l’intuizione del “Papa Buono” di convocare un Concilio non fosse, come una certa storiografia vuole, improvvisa. Questa stessa conoscenza, frutto di un grande studio, come si evince dalla lettura dell’opera, permette, per di più, di mostrare come Paolo VI sia stato davvero un papa riformatore e, quindi, egli per primo abbia attuato il Concilio, dopo essere stato l’arbitro di quella straordinaria assise e non, come anche qui una certa storiografia lo dipinge, ostaggio di una minoranza. Il giovane teologo, dopo aver offerto una lettura agevole delle due Costituzioni sulla Chiesa, con equilibrato spirito critico, mostra quali passi la Chiesa deve ancora compiere per far risplendere quello stupendo affresco ecclesiale che i padri conciliari hanno inteso dipingere cinquant’anni fa. La prima e più urgente priorità è la sinodalità, cioè lo stile del discutere insieme collegialmente, laici e non, tutte le questioni, le urgenze, le tensioni che vive la comunità credente, in modo da poter offrire ai pastori un punto di vista fondato e il più possibile ampio (cfr. pp. 216-220). La seconda è costituita dal ridare alla Chiesa locale la centralità che aveva nei primi secoli perché possa attuarsi pienamente quella trasmissione della fede che è il compito di ogni comunità ecclesiale (cfr. pp. 241-245). Il terzo passo da compiere è ripensare lo stile della Chiesa a partire da quella fiducia nel mondo di cui è intrisa la Gaudium et Spes, in base alla quale andrebbe ripensata la questione della laicità nel nostro Occidente. Infine, l’ultima priorità è il ripensamento del ministero sacerdotale che oggi è un compito non più rinviabile. Il volume si autodefinisce, un po’ sottotono, attraverso il sottotitolo Introduzione alle questioni ecclesiologiche del Concilio Vaticano. Ma è un contributo importante, che ha la forza di dimostrare come una corretta comprensione e la recezione di quell’evento debbano essere questioni non più dilazionabili per la Chiesa attuale.
(Recensione pubblicato su "Munera. Rivista europea di cultura", 3/2015, Cittadella Editrice, Assisi 2015, pp. 134-135).

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