O Roma o Cristo

Una delle ultime fatiche editoriali di Saverio Xeres, sacerdote della diocesi di Como, professore di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (sede di Milano), è una documentata ricostruzione della vicenda che ha portato allo scontro tra Lutero e Roma, con la terribile conseguenza dello scisma. In O Roma o Cristo in modo agile si fa capire perché si è arrivati ad uno conflitto che ha dilaniato la cristianità. Senza cedere alla polemica, con uno stile sobrio e godibile, l’autore permette a qualsiasi lettore di prendere coscienza della drammatica scelta che il monaco agostiniano fu costretto a compiere. In occasione del Giubileo della Riforma, proprio in merito a quest’opera abbiamo posto alcune domande al professor Xeres.
D:Chi è Martin Lutero?
R: Era un frate tedesco, nato nel 1483 nella Germania settentrionale, in Turingia. Figlio di un minatore divenuto piccolo proprietario, venne avviato agli studi giuridici presso l’università di Erfurt, poi interrotti dalla decisione di entrare nel convento agostiniano di Wittenberg, piccola città della Sassonia che il principe locale, Federico il Saggio, volle elevare a capitale del suo ducato, dotandola, tra l’altro, di una università. Fu in questa piccola città che Lutero passò praticamente tutta la sua vita, dividendosi tra la predicazione dal pulpito della chiesa del castello ducale e la cattedra dell’università, dove svolse l’insegnamento di Sacra Scrittura. Dopo la sua frattura con la Chiesa romana, avvenuta nel 1520, egli avviò una nuova forma di vita cristiana, caratterizzata essenzialmente dal ritorno alla semplicità delle origini (per questo chiamata successivamente ‘Riforma’) e, in particolare, alla fedeltà alla Parola di Dio rivelata nella Bibbia e nella persona di Cristo, eliminando la gran parte delle tradizioni giuridiche, liturgiche, dottrinali, introdotte successivamente dalla Chiesa. Vennero così a formarsi nuove comunità cristiane che non accettarono di essere ricondotte alla Chiesa tradizionale, manifestando pubblicamente il proprio dissenso rispetto al tentativo posto in atto in quella direzione dall’imperatore Carlo V. Fu in seguito a tale pubblica presa di posizione (in latino ‘protestatio’) che i ‘riformati’ vennero chiamati anche ‘protestanti’. Dopo aver criticato e respinto, tra l’altro, anche le istituzioni monastiche e conventuali, Lutero depose le vesti e la condizione di frate e si unì in matrimonio a una ex monaca, Caterina Bora, con la quale realizzò una famiglia numerosa e aperta anche a molti dei suoi discepoli.
D: Lutero è conosciuto per le 95 Tesi. Storicamente è così? Perché il ‘padre del protestantesimo’ non accettava le indulgenze?
R: Nel 1517, in effetti, Lutero intervenne pubblicamente in occasione di una predicazione indulgenziale svolta in territori tedeschi confinanti con il ducato di Sassonia, di cui Wittenberg era capoluogo. Ciò non avvenne mediante il gesto – divenuto famoso fino a costituire il simbolo dell’inizio della Riforma – dell’affissione delle 95 tesi alla porta della chiesa del castello, bensì in maniera assai più moderata. Nella predicazione, innanzitutto, nella quale Lutero si preoccupò di spiegare alla gente il significato, le modalità e, soprattutto, i limiti delle indulgenze: esse riducono la pena conseguente al peccato il quale, invece, può essere perdonato solo nel sacramento della Penitenza. In secondo luogo, ricorrendo per lettera all’arcivescovo di Magonza, Alberto, il quale aveva chiesto e ottenuto da Roma tale concessione indulgenziale. In verità, Alberto perseguiva lo scopo non dichiarato di racimolare il denaro necessario all’ottenimento della nomina a quell’importante sede episcopale: di conseguenza, affinché le indulgenze venissero ‘acquistate’ più facilmente, si spingevano i predicatori a esagerare sulla loro efficacia, favorendo confusione ed equivoci tra i fedeli. Infine, Lutero, come era costume nelle università medioevali, propose alla discussione con gli altri docenti una serie di affermazioni sulle indulgenze: le 95 tesi, appunto. All’inizio, dunque, Lutero non rifiutava in maniera assoluta le indulgenze ma contestava le esagerazioni con le quali venivano presentate e i conseguenti equivoci suscitati nell’animo soprattutto delle persone più semplici, indotte a pensare che bastasse una offerta in denaro per liberarsi, quasi magicamente, dalle proprie colpe. Del resto, contestazioni di questo tipo non erano nuove; gli stessi papi, in passato, avevano condannato le esagerazioni dei predicatori di indulgenze.
D: E’ vero che ci furono tentativi di dialogo tra Lutero e la Sede Apostolica? Perché fallirono? Come mai si arrivò alla condanna di Lutero?
R: In verità, una volta che le tesi – contro la volontà dello stesso Lutero – cominciarono a diffondersi, la Santa Sede intentò un processo contro di lui per eresia: non perché si potesse trovare nelle sue tesi qualche grave distorsione della dottrina tradizionale ma per il fatto che, comunque, egli aveva contestato la sede romana, ritenuta depositaria della Verità. A questo punto, a Lutero, in quanto eretico dichiarato, veniva offerta una sola possibilità: quella di ritrattare le proprie affermazioni, così da essere riconciliato con Roma; in caso contrario sarebbe stato scomunicato, ovvero espulso dalla comunità ecclesiale il che, all’epoca, significava restare escluso anche dalla società: in pratica, una ‘morte civile’. Nel frattempo, la situazione si era ulteriormente complicata per alcune interferenze politiche, nel senso che erano iniziate le trattative per l’elezione del nuovo imperatore, a seguito della malattia e, quindi, della morte del sovrano in carica, Massimiliano I. Ora, uno degli elettori dell’imperatore – anzi egli stesso candidato alla successione, per di più favorito dalla Santa Sede – era precisamente il duca di Sassonia, Federico, amico e protettore di Lutero, anche in quanto brillante professore dell’università da lui fondata nel capoluogo del ducato. Non poteva, dunque, la curia romana condannare subito il teologo di Wittenberg: ciò avrebbe indispettito un personaggio così importante, qual era il principe Federico, in un momento così delicato. Di qui una serie di trattative con Lutero da parte di inviati della Santa Sede, tra i quali anche un importante cardinale e teologo, Tommaso da Vio detto il Gaetano. Anche quest’ultimo, peraltro, non era disposto e autorizzato ad altro che a raccogliere l’eventuale ritrattazione di Lutero, per riconciliarlo con il papa. Lutero, invece, avrebbe voluto dibattere pubblicamente sulle questioni sollevate: il che non gli fu mai concesso. Così quando l’avvenuta elezione imperiale tolse ogni ostacolo alla condanna di Lutero, esse venne formalizzata in una bolla papale che giunse in Germania soltanto nell’autunno del 1520, tre anni dopo la polemica del frate tedesco sulle indulgenze. Nel frattempo, di fronte alla insensibilità e all’opportunismo della curia romana, condivisa dal papa con la condanna che stava per emanare nei suoi confronti, Lutero cominciò a convincersi che il papato in quanto tale contraddiceva alla verità del Vangelo che gli era apparsa così luminosa grazie alla lettura della Parola di Dio.
D: Nel suo libro dedica una bella e interessante parte alla ricostruzione, dal punto di vista storico, dell’immagine che nel corso di 500 anni i cattolici hanno avuto di Lutero: è cambiato qualcosa dal 1517 ad oggi?
R: Possiamo tranquillamente dire che il modo di considerare la figura di Lutero è cambiato completamente anche se, nel lungo arco di questi cinque secoli, i mutamenti di prospettiva sono avvenuti soltanto negli ultimi 150 anni, ovvero dal momento in cui, anche nell’ambito della storia della Chiesa, è stato assunto un metodo di carattere critico, basato sul ricorso alle fonti originali e su una ricostruzione libera da posizioni pregiudiziali e autonoma rispetto al giudizio di condanna pronunciato dal Magistero ecclesiastico nei confronti del Riformatore di Wittenberg. Già vari storici e teologi cattolici hanno ormai delineato la figura e la dottrina di Lutero in maniera più corrispondente alla realtà dei fatti e, di conseguenza, anche all’interno della Chiesa è stata acquisita una visione più equilibrata di quanto avvenuto. Proprio tale nuova consapevolezza ha consentito, per la prima volta, di celebrare in maniera pacifica e condivisa, tra cattolici e protestanti, la ricorrenza centenaria della Riforma.

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