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Il mistero dell'Ascensione.

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« Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose ( Ef 4,10)». La festa dell’Ascensione è davvero particolare. In fondo, se ci pensiamo bene, celebriamo una scomparsa. Il Risorto, così ci dice l’opera lucana (Vangelo e Atti), dopo essere apparso agli apostoli, per un tempo di quaranta giorni, termina la sua presenza in mezzo agli uomini ascendendo. Egli, dunque, ritorna al Padre. Ma questo ritorno è gravido di conseguenze perché Gesù porta con sé quell’umanità che aveva assunto incarnandosi. Il Risorto scompare ma non è una scomparsa qualunque perché intacca profondamente l’essere di Dio. L’umano e tutto ciò che esso implica, sia nella forma dello splendore sia nella forma della fragilità più estrema, è accolto in Dio e da allora e per sempre è in Dio. In altri termini si potrebbe dire che Dio sente, respira, vive, palpita come un uomo e, per questo, è una scomparsa che esalta la nostra umanità, rendendola degna di Dio a

Per una teologia del gioco

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La ricerca prende le mosse, dal punto di vista metodologico, dall’idea elaborata da P aul Ricoeur a riguardo di un pensiero a partire dai simboli, e tenta di applicare questo metodo al tema del gioco per farne una “categoria” utilizzabile in ambito teologico. Come è noto, il filosofo francese scandisce nel celebre saggio Ermeneutica dei simboli e riflessione filosofica , la sua idea, tracciando tre possibili tappe. La prima tappa è fenomenologica, cioè in questa prima fase si cerca di comprendere il simbolo attraverso il simbolo. La seconda tappa è ermeneutica, di interpretazione dei testi che contengono quel simbolo. L’ultima tappa è quella di un’elaborazione di un pensiero a partire dal simbolo. Nel primo capitolo si tent a di onorare la prima tappa delineata da Ricoeur e, quindi, verrà indagato il fenomeno ludico con l’intento di capire cosa esso sia, giovandosi dell’apporto di diverse discipline, e, successivamente, si procederà a mettere in luce la plurivalente simbolica

Gaudete et exsultate: un’esortazione sulla santità.

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Il ricco e variegato magistero di papa Francesco ‒ fatto, come è noto, più di gesti che di parole ‒ si è arricchito recentemente di un nuovo documento. Apparentemente non c’era un’occasione per un’esortazione. L’ Evangelii gaudium , l’ Amoris laetitia sono documenti (anche essi esortazioni) scaturiti da una riflessione sinodale, lunga e travagliata. Gaudete et exsultate è, invece, una ‘semplice’ esortazione, non nata da una vera e propria necessità. Eppure il tema è di estrema attualità. La santità non è questione di un tempo nella storia, è, invece, come tutto l’intero primo capitolo fa comprendere, nell’oggi della nostra vita quotidiana che si gioca la salvezza donataci da Cristo. Il Papa pone la sua attenzione non tanto sui gesti di quelli che la Chiesa ha proclamato già santi, che pur vengono citati e additati come modelli, ma su quei gesti semplici, feriali che dicono la presenza nel mondo di un popolo santo. E’ la ‘santità della porta accanto’ che papa Francesco vuol far emerger

Gaudete et exsultate: la lotta contro il male.

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Forse uno dei capitoli che potrà far storcere il naso a diversi è l’ultimo. Il testo, infatti, dell’esortazione non presenta particolari punti oscuri: è chiaro e lineare.  Dopo un capitolo (il terzo) in cui il Papa mette in evidenza alcune caratteristiche della santità, facendo leva sulle Beatitudini, e dopo un capitolo (il quarto) in cui offre un affresco della santità nel mondo attuale, Gaudete et exsultate parla della lotta contro il male.  Il pontefice intende chiarire fin da subito che il male non esiste in astratto: esiste il maligno che opera nel mondo e non è un mito. La stessa preghiera del ‘Padre nostro’, tradotta in maniera più accurata, lo dichiara: ‘liberaci dal maligno’! Ecco perché occorre vigilanza e discernimento. Sembra quasi che papa Francesco, ritornando più volte ‒ non solo nel testo dell’esortazione! ‒ su questo tema, voglia sottolineare una mancanza nella Chiesa di oggi: c’è un deficit di discernimento, di cui dobbiamo prendere coscienza tutti, laici e non. E qu

Gaudete et exsulate: i due nemici della santità.

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Un aspetto degno di nota come dell’esortazione Gaudete et exsultate si trova nel secondo capitolo. In esso, infatti, vengono presi in considerazione i due nemici della santità: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Su di essi recentemente (22 febbraio 2018) si era soffermata la Congregazione per la dottrina della fede con la lettera Placuit Deo  e, inoltre, erano stati già indicati come due possibili ostacoli ad una vera e autentica evangelizzazione nell’ Evangelii gaudium . Francesco, riallacciandosi tanto all’uno quanto all’altro documento, vuole mettere in guardia da una falsa santità. Lo gnosticismo esalta a tal punto la conoscenza o una determinata esperienza da presentare un cristianesimo astratto e, perciò, invivibile. Il pelagianesimo, invece, considera ‘più cristiano’ e, dunque, ‘più santo’ un certo stile di vita al punto tale da considerarlo come un modello che tutti devono praticare. Entrambi hanno un difetto: rischiano di fare a meno della realtà e, dunque, della storia, dove

Il gioco in Platone (seconda parte).

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Non dovendo dimostrare il tratto ludico di ciascun dialogo  [1] – cosa che esula dal presente studio ‒   vogliamo ora soffermarci su un aspetto che abbiamo indagato e in Platone trova una sua prima sottolineatura teoretica. In diversi dialoghi, infatti, il filosofo ateniese afferma che «l’imitazione è un gioco»  [2] che richiede notevole abilità e, nondimeno, produce grande piacere  [3] . Ma qual è il valore dell’imitazione e, di conseguenza, del gioco nella filosofia platonica? Senza dover passare in rassegna tutte le ricorrenze del lemma imitazione nei testi platonici e stando anche al contesto nel quale si colloca l’identificazione sopracitata tra mimesis e paidia , occorre subito affermare che Platone condanna un certo tipo di imitazione/gioco, quella fatta nell’ignoranza che, di conseguenza, è solo parvenza di imitazione  [4] . Il filosofo ateniese, quindi, condanna senza appello quell’imitazione/gioco che è priva di scienza. C’è vera, autentica imitazione solo quando si dà la

Il gioco in Platone (prima parte)

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Uno dei primi filosofi che ci ha lasciato preziosi frammenti sul gioco è Platone . Egli, nel Fedro , attraverso la figura di Socrate qualifica la sua opera come gioco. Come è noto, questo dialogo è stato redatto nell’ultimo periodo della vita di Platone e, comunque, è posteriore alla Repubblica ; per questo può essere visto come un bilancio della sua opera. Se forse il giudizio che vede nel Fedro uno dei dialoghi più significativi di tutta l’opera platonica  [1] può sembrare iperbolico, certamente qui ci troviamo di fronte ad un dialogo in cui Platone mette a tema il gioco. Interessante, sotto questo profilo, è l’inizio dell’opera. Siamo in campagna, lungo le rive del fiume Illisso. Lo stesso Fedro, il protagonista del dialogo, nota la singolarità di trovare Socrate, che non usciva mai dalla città, fuori dalle mura  [2] . In questo luogo, stando a quanto si trova nelle Leggi , si gioca  [3] . Significativamente, proprio qui, secondo un mito di cui Platone ci dà notizia all’inizio del