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Teologo "maledetto". Ritratto di Leonardo Boff

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Leonardo Boff, teologo tuttora vivente, al secolo Genésio Darci Boff, nacque a Concórdia, in Brasile, il 14 dicembre 1938. Nipote di immigrati italiani originari di Seren del Grappa, in provincia di Belluno, Leonardo entrò nel 1959 nell’Ordine dei Frati Francescani Minori, emettendo la professione perpetua di voti nel 1964.  Fu successivamente consacrato sacerdote. Nello stesso periodo studiò dapprima filosofia e poi teologia in Brasile, Germania, Belgio e negli Stati Uniti d’America, fino al conseguimento del dottorato presso l’università di Monaco nel 1970, avendo tra i relatori l’allora professor Joseph Ratzinger.  In quello stesso anno a Boff, ritornato in patria, gli fu affidata la cattedra di teologia sistematica ed ecumenica all’Istituto teologico francescano di Petrópolis in Brasile. Divenne direttore di varie riviste, quali la Revista Eclesiástica Brasileira (dal 1970 al 1984), la Revista de Cultura Vozes (dal 1984 al 1992) e la Revista Internacional Concilium (dal 1970

Il gioco in Heidegger.

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In Heidegger  «oltre che nel Satz vom Grund , il concetto di gioco appare in altri luoghi del cammino del pensiero heideggeriano, segnandone sempre con la sua presenza i momenti fondamentali, per poi pronunciare il suo abissale mistero e diffondersi in tutta la sua in-audita ‒ o dimenticata ‒ portata innovatrice nelle ultime pagine sul principio di ragione»  [1] . Infatti, secondo molti interpreti, l’interesse del filosofo per il gioco risalirebbe alle origini della svolta seguita ad Essere e Tempo  [2] , svolta che toccherebbe il suo apice con Il principio di ragione  [3] e della quale alcune tracce sarebbe contenute nell’ Introduzione alla metafisica  [4] . Il tema del gioco in Heidegger, pertanto, raggiunge la sua massima punta di riflessione teoretica nell’opera dedicata al principio di ragione ed è connessa alla ripresa della questione del mondo, che «non è una interpretazione più precisa e più rigorosa dell’essenza del mondo, bensì in primissimo luogo cerca di porre sott

Il gioco in Aristotele

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Aristotele   tratta del gioco nell’ Etica Nicomachea . Anche se, come è noto, la pubblicazione delle opere dello Stagirita è dovuta ai suoi discepoli , in quanto egli non concepì mai le sue opere come libri da pubblicare ma come il sostrato dell’attività didattica  [1] , la collocazione della trattazione del gioco è di particolare interesse. Infatti esso è fatto oggetto di indagine all’interno del IV libro, dove si parla delle virtù etiche, delle virtù cioè legate al comportamento. Tra di esse vi è il garbo che, a giudizio di Aristotele, trova la sua più evidente espressione nel gioco. Pertanto giocare , o meglio saper giocare , è questione di comportamento, di virtù. Lo Stagirita così si esprime: «il riposo, poi, e il divertimento ( paidia ) si ritiene che siano necessari nella vita. Nella vita corrente, tre sono le medietà di cui abbiamo parlato, e tutte e tre riguardano i rapporti reciproci fatti di parole e azioni. Ma differiscono perché una riguarda la verità, le altre d

L'Immacolata Concezione: l'origine divina di Gesù

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Chi studia o ha studiato un po’ di teologia sa che la prima parte dei Vangeli ad essere stata scritta è quella in cui si narra la vicenda della Passione. Lì tocchiamo con mano come la fede degli apostoli è stata messa in crisi dallo stesso Gesù che liberamente ha accettato di morire in croce. È stata la risurrezione o meglio il manifestarsi del Risorto che ha dato loro la prova dell’origine divina di Gesù e, quindi, la sua “pretesa” di essere Figlio di Dio non è stata smentita. Il Nuovo Testamento ci attesta che è a partire da qui, da questa esperienza che gli apostoli hanno fatto, che i primi cristiani hanno riflettuto più profondamente sull’origine divina. Basta leggere con molta attenzione lo stupendo inno della lettera ai Filippesi (Fil 2), per rendersi conto che questa riflessione dalla manifestazione di Gesù come Risorto ha proseguito ed è arrivata a concepire la pre-esistenza in Dio ancora prima dell’origine del mondo. Ora se Gesù è il Figlio di Dio, lo è da sempre e lo ho d

Pavel Evdokimov: breve ritratto di un teologo russo.

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Per cattolici e protestanti l’accesso e la comprensione della teologia ortodossa è stato mediato, nel Secondo Dopoguerra, dalle opere di Pavel Evdokimov (1900-1970). Dopo gli studi, egli si dedicò, dopo essersi trasferito da San Pietroburgo a Instabul, ad una vasta opera sociale in particolar modo a favore degli immigrati, poveri e socialmente emarginati. Trasferitosi in Francia, partecipò alla resistenza antinazista prima di dedicarsi totalmente alla ricerca teologica, dietro consigli di intellettuali del calibro di Dostoevskij e Gogol.  La produzione teologica è vastissima, ma occorre sottolineare come egli, a motivo del suo lavoro sociale, abbia sviluppato una teologia dell’amore di Dio di stampo “kenotico”, cioè di un amore che si abbassa, anzi si svuota secondo l’affermazione di Fil 2,7, e si sia dedicato allo studio della rilevanza sociale nel pensiero dei Padri della Chiesa e della tradizione monastica. Evdokimov interpreta la realtà in chiave sacramentale, come presenza di

Ognissanti: per una santità della porta accanto.

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La solennità di tutti i santi è un’occasione alquanto particolare per riflettere su quella che il Concilio Vaticano II ha definito come la vocazione di ogni battezzato. Ancor prima che un catecumeno possa consacrarsi (sacerdozio, vita consacrata, matrimonio) esiste una comune vocazione alla santità. Detto in altri termini tutti siamo chiamati a diventare santi. Attenzione: diventare, non essere! Perché santi lo siamo in forza del Battesimo che ci ha santificati, cioè ci ha messo nella condizione di persone salvate, persone redente. Sotto questo profilo sarebbe interessante rileggere le finali delle lettere di Paolo che saluta i santi che sono nella comunità alla quale scrivere. La santità è, pertanto, un processo da portare a maturazione: dall’essere al diventare, dove noi non siamo e non possiamo essere coloro che misurano la santità altrui. Anche perché questo processo può accadere in tempi, luoghi diversi, con persone differenti. Basta vedere la grande varietà di santi e sante

Il cristianesimo come risorsa.

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Ho letto con piacere il libro di François Jullien Risorse del cristianesimo , edito in italiano da Ponte alle Grazie, ed è una lettura che mi sento di raccomandare per diversi motivi.  Un primo motivo di interesse lo traggo dal titolo perché, finalmente, superando una contrapposizione tra atei e credenti - Jullien è un ateo -, si riesce a comprendere che il cristianesimo è una risorsa, ha  delle risorse da vantare. Il filosofo francese spiega questa sua idea abbondantemente nell'opera, mostrando peraltro una grande capacità filologica. Infatti egli rivisita e dialoga con alcuni testi del Vangelo di Giovanni e il suo dialogo stupisce perché alla fine risulta più proficuo di uno studio esegetico.  Un altro motivo di interesse lo traggo dal fatto che, come Jullien mostra, quando si supera certi steccati e la ragione non si manifesta gretta, il guadagno è doppio. In primo luogo perché l'ateo riesce a pensare alcune questioni che per lungo tempo hanno travagliato la filosofia.